«L’America rischia morte e distruzione»- Corriere.it

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DALLA NOSTRA INVIATA
WACO (TEXAS) — Donald Trump ha ammonito che l’America rischia «morte e distruzione» se verrà incriminato, e ha attaccato i magistrati («corrotti», «animali») a partire dal procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg. In questo clima, ieri, all’aeroporto di Waco, l’ex presidente ha chiamato a raccolta i suoi seguaci. «Rieleggetemi e sarete vendicati», ha promesso in un comizio dai toni sprezzanti e a tratti apocalittici. In migliaia, bruciati dal sole sulla pista senza ombra, lo hanno atteso per ore, alcuni con i bambini piccoli nei passeggini. «Nessuno più parla di grandezza, è una caccia alle streghe dopo l’altra. Sono perseguitato dai procuratori e dal dipartimento di Ingiustizia, al soldo dei democratici e di Hillary Clinton», ha detto Trump, paragonando le inchieste contro di lui a quelle della Russia stalinista. «Se non distruggiamo lo Stato Profondo, lo Stato Profondo distruggerà l’America».

Era il primo comizio da quando, una settimana fa, Trump ha incitato i suoi sostenitori a riprendersi il Paese, con parole che ricordano l’assalto al Congresso (l’evento a Waco è stato preceduto da un video dell’ex presidente che canta «Justice for All» con alcuni rivoltosi condannati per il 6 gennaio). Era anche il suo primo grande evento di lancio della campagna elettorale del 2024.

Oltre alle parole, il luogo è significativo: Waco è un simbolo dell’ostilità alle ingerenze del governo federale in America. Un portavoce di Trump ha negato ogni connessione con gli estremisti, spiegando che la cittadina di 140 mila abitanti è semplicemente situata tra i centri più popolosi del Texas e ha l’infrastruttura adatta. Il vice-governatore del Texas, Dan Patrick, ha detto alla folla di essere stato lui a scegliere Waco, quando Trump lo aveva chiamato annunciandogli: «Vengo in Texas, sceglimi una bella città». Il comizio cade proprio nei giorni del 30° anniversario dell’assedio di Waco. Il luogo della tragedia si trova a trenta minuti d’auto dal palco da cui l’ex presidente sfidava ieri le autorità statunitensi.

Il 28 febbraio 1993 i federali dell’Agenzia Alcol, Tabacco, Armi da fuoco (Atf) tentarono un raid nel compound dove viveva la setta religiosa dei davidiani, tra i pascoli di vacche a est di Waco. Il loro leader, David Koresh, 33 anni, si definiva il Messia, aveva 13 mogli sottratte ai suoi stessi seguaci e faceva sesso con ragazzine minorenni. I davidiani erano armati fino ai denti, con mitra e fucili automatici in attesa dell’Apocalisse: erano pronti alla battaglia tra l’Esercito di Dio e il governo federale. Il raid fu respinto, quattro agenti furono uccisi, intervennero l’Fbi, i cecchini e i carri armati Abrams: iniziò un assedio di 51 giorni. I negoziatori riuscirono a far uscire una ventina di persone. Ma il 19 aprile 1993, quando pensavano di costringere Koresh e un’ottantina di fedelissimi alla resa lanciando i lacrimogeni nel compound, morirono tutti, in un misterioso rogo.

Oggi sul posto c’è una chiesa/museo e un monumento che ricorda i morti — tra cui bambini di 1 e 6 anni. Davanti ad essi sventolano tre bandiere che dicono: «Trump salva l’America di nuovo, 2024». L’attuale leader dei davidiani, Charles Pace, parzialmente cieco e con una protesi al posto della gamba destra, persa in un incidente con il trattore, è un fan di Trump: sostiene che l’ex presidente sia stato scelto da Dio per abbattere «lo Stato profondo di Babilonia» e che abbia deciso di fare un comizio a Waco proprio per sottolineare d’essere sotto assedio dell’Fbi come lo fu Koresh trent’anni fa. Sui muri della chiesa, costruita con l’aiuto del complottista texano Alex Jones, poi sostenitore di Trump, si leggono teorie cospirative anti Clinton (era lui il presidente nel 1993): «Koresh era un falso profeta — dice Pace — ma sapeva troppo, i Clinton non potevano lasciarlo in vita».

L’ex vice-sceriffo Terry Fuller ci dice che è una chiesa per modo di dire, solo per ragioni fiscali: «Quante chiese hai visto che sono chiuse di domenica?». Non ci sono fedeli (Pace sostiene che sono tutti online) ma è meta turistica: incontriamo coppie, famiglie con bambini, tre irlandesi, due motociclisti con le Harley Davidson («Johnny V» e «papà di Rosa» i nomi incisi sui loro gilet di pelle) che ci prendono per mano per pregare per i morti. Ma a Waco, scrive il giornale più diffuso del Texas, lo «Houston Chronicle», Trump «gioca col fuoco» perché è «un santuario dei Proud Boys, dei Three Percenters, degli Oath Keepers e di altri estremisti anti-governativi», di quanti vi vedono la prova che il governo federale non protegge i cittadini, viola anzi i loro diritti, sottrae loro le armi, di quanti considerano l’Fbi uno strumento di presidenti democratici: sentimenti che Trump ha saputo cavalcare.

Timothy McVeigh, veterano dell’esercito e attentatore di Oklahoma City, durante l’assedio vendeva adesivi pro-armi vicino al compound; il 19 aprile di due anni dopo, fece saltare in aria l’ufficio federale dove lavorava Bob Ricks, l’ex portavoce dell’Fbi a Waco, facendo 168 decessi. Uno dei fondatori dei Three Percenters disse: «Waco può accadere in qualsiasi momento. Ma il risultato sarà diverso la prossima volta». Una trentina di Proud Boys, milizia che partecipò all’assalto al Congresso nel 2020, sono venuti in visita l’anno scorso: dicono che Waco è «la nuova Alamo» dei patrioti americani. E il pastore Pace ha replicato: «Se Koresh fosse vivo, sarebbe uno di voi». In un documentario appena uscito su Netflix, intitolato Waco: American Apocalypse, uno dei cecchini che partecipò all’assedio spiega di aver cercato a lungo un barlume di senso: «Com’è possibile che un pascolo di vacche diventi il luogo di un rogo che uccide 80 persone, per poi tornare un pascolo di vacche? So solo che la violenza appare dal nulla, distrugge delle vite e poi si sposta altrove».



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www.corriere.it
2023-03-26 01:10:57 ,

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